In questi mesi i partner si sono dedicati alla raccolta di testimonianze di adulti che sono stati colpite dal covid19, dei loro familiari e del personale sanitario che li ha assistiti. Persone che raccontano la loro personale esperienza all’interno delle terapie intensive e la condivisione con il resto del mondo ci permette di creare un legame forte con chi la legge o la guarda. La loro testimonianza ci permette di piantare il seme della fiducia e di creare un rapporto con altre persone. Ma non solo, raccogliere testimonianze è estremamente utile anche per capire meglio i vissuti ed i bisogni delle persone, offrire uno sguardo da più punti di vista: i pazienti, le famiglie e gli operatori sanitari.
Di fronte all'incapacità dei pazienti di parlare, lo sguardo diventa il linguaggio della comunicazione. María Jesús Broch, un medico intensivista, ci ha detto che si guardavano negli occhi, con i pazienti, e che potevano davvero provare la paura che sentivano. “Anche noi avevamo paura” ha detto. Ricorda la faccia in preda al panico di molti dei pazienti quando dovevano essere intubati e bisognava dire che dovevano essere addormentati. Affrontare il panico di tanti occhi in una terapia intensiva completa, e la lontananza dei loro cari e loro amore, non si poteva semplicemente limitare a dare supporto vitale, bisognava accompagnare e dare affetto.
Nel corso dei giorni il personale sanitario ha imparato a decifrare espressioni di gioia, paura, tristezza, preoccupazione, incredulità. Senza la capacità di gridare il proprio dolore, senza l'abbraccio dei propri cari, l'angoscia si accentuava, l'unica cosa che lo staff medico poteva fare oltre a proteggere la vita, era stringere la mano dei pazienti, creare un legame affettivo, quella mano per non fare sentire che erano in caduta libera, quella mano era una medicina per l'anima.
Domingo Ferrandis: “Il personale sanitario ci ha raccontato delle volte in cui si è sentito impotente, senza poter fare nulla per salvare le vite dei pazienti, come queste le sfuggivano. Era come cercare di prendere l'acqua con le mani. Di fronte all'impossibilità di contatto e alla visita dei familiari in terapia intensiva, gli operatori sanitari sono diventati una sorta di emissario che trasmettevano i messaggi. Hanno letto lettere, distribuito le foto, avviato le videochiamate, consegnato disegni dei nipoti. La barriera professionale tra paziente e personale sanitario si è diluita nella compassione, nel tatto e nei segni di affetto, assenti dai propri cari, offerti dal personale sanitario. La medicina intensiva, abituata a essere in bilico tra la vita e la morte, è stata sfidata dal COVID, le persone morivano in solitudine. Mónica Talavera, medico intensivista, ricorda di aver letto una lettera dei figli a una coppia di coniugi ricoverati in terapia intensiva. Lei racconta: “Mentre leggevo la lettera, ho realizzato un video di entrambi separatamente, dove si vedevano le loro reazioni ascoltandole. L'uomo è sopravvissuto e lei no. Per i loro figli, il video è stato un modo per dire addio e un modo per ricordare la loro madre. Queste storie e molte altre ci porteranno in un viaggio nel tempo della pandemia. Mentre si discuteva di una lotta per la vita nelle unità di terapia intensiva del mondo, il resto della popolazione viveva confinato tra muri di incertezza, gioventù incapsulata e salute mentale guardando fuori dalle finestre le strade vuote.
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